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ANIMA BUONA è uno spettacolo di Alvise Camozzi e Leonardo Mello, liberamente ispirato ai drammi didattici di Bertolt Brecht, dedicato alle ragazze e ai ragazzi, a partire dagli 11 anni.

ANIMA BUONA nasce in seno al progetto #NONSOLOCOMPITI ideato e promosso dalla Fondazione di Venezia attivo in spazi educativi, aggregativi e ricreativi dedicati in particolare alle studentesse e agli studenti fra gli 11 e i 14 anni.

L'obiettivo del progetto teatrale ANIMA BUONA è quello di spingere le e gli adolescenti e preadolescenti a scoprire la vivacità critica e la forza emotiva che la pratica teatrale può suggerire e restituire. La messinscena si sviluppa attraverso uno stimolante percorso interattivo tra il pubblico e l’attore e regista Alvise Camozzi, che guida la rappresentazione. Le risposte e le riflessioni delle giovani spettatrici e dei giovani spettatori danno impulso alla progressione narrativa dell’incontro, trasformando la loro funzione da passiva (come accade nella frontalità delle rappresentazioni tradizionali, o nel cinema e televisione) ad attiva, per cui critica e trasformatrice. Il testo di ANIMA BUONA è cadenzato da diverse domande, poste attraverso frammenti di testi e racconti teatrali recitati e a volte anche cantati, anche assieme alle ragazze e ragazzi, che a loro volta sperimentano la loro funzione corale (di coro teatrale) all’interno dello spettacolo. Le incursioni drammaturgiche alimentano il dialogo circolare, che poco a poco diventa, alla fine, un vero e proprio dibattito sugli argomenti esposti.

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Da tempo il teatro non è più il luogo in cui si rappresentano storie esclusivamente per emozionare, non è più il luogo in cui si rispecchia necessariamente la realtà quotidiana, insomma non è più il luogo in cui un linguaggio si confronta con il mondo e lo descrive.

Questa funzione è stata assunta via via dal cinema, poi dalla televisione e poi ancora dal web, strumenti da un lato più ‘realistici’ e dinamici e dall’altro più economici con i loro sistemi di produzione industriale. Esautorato dal compito e dalla necessità di rappresentare fedelmente il mondo, il teatro, come del resto l’arte o la musica, diventa allora metalinguistico, ossia indaga e sperimenta i linguaggi, ci spinge a ragionare sul mondo anziché rappresentarlo.

 

La scrittura di ANIMA BUONA nasce da questa riflessione e si fa condurre dai processi compositivi elaborati da Bertolt Brecht per il suo teatro (il titolo ANIMA BUONA richiama uno dei suoi testi più noti: L’anima buona di Sezuan). 

 

Nelle sue opere Brecht immagina uno spettatore attento e non passivo davanti all’opera d’arte rappresentata sul palco, uno spettatore che non ha l’unica funzione di emozionarsi ma deve anche sentirsi attore della propria realtà. Con i drammi didattici (Lehrstück) Brecht si spinge ancora più in là, rompendo con la separazione tra pubblico e rappresentazione, chiedendo addirittura ai ragazzi stessi (nelle scuole che lui visitava) di interpretare, e poi discutere, i suoi brevi componimenti teatrali.

 

Uno dei principi fondamentali che Brecht teorizza per interrogare il pubblico sul mondo e la realtà in cui viviamo, è quello di spostare la rappresentazione lontano dalla realtà stessa, sia per quanto riguarda la recitazione degli attori, che per Brecht devono allontanarsi dalla tradizione novecentesca dell’immedesimazione psicologica, sia per quanto riguarda la maggior parte delle ambientazioni in cui inserisce le sue storie, situate spesso in tempi altri e/o in luoghi esotici e fantastici. Questo “dislocamento semantico” venne chiamato dalla critica teatrale “effetto di straniamento”, ed è ancora oggi estremamente efficace come meccanismo narrativo, principalmente quando il divario tra il soggetto fantastico e la realtà quotidiana sorprende il pubblico per la distanza formale e per l’inversa corrispondenza fattuale dei temi profondi che emergono in maniera spontanea, sia nella favola, sia nell’esperienza esistenziale del pubblico: nel nostro caso, nell’esperienza delle giovani spettatrici e spettatori. 

 

È giusto fare quello che di solito si fa, perché tutti lo fanno, perché è comunemente considerato “normale”, senza prima pensare: “Quello che di solito si fa” è giusto per tutti?”

Questo è il Leitmotiv che il testo di ANIMA BUONA ripete nelle tre storie scelte dal repertorio brechtiano e reinventate dagli autori: L'anima Buona di Sezuan, Teste tonde e teste a punta, L’eccezione e la regola.

 

“Quello che di solito si fa” nei mondi strani e distanti di Brecht interroga il giovane pubblico di ANIMA BUONA e chiede se è poi tanto differente da “quello che di solito si fa” nel nostro mondo presente, quartiere, scuola e paese; ecco che la storia delle tre divinità cinesi che scendono nella provincia del Sezuan alla ricerca di un’anima buona e di un posto dove andare a dormire, diventa uno spunto per riflettere sul tema dell’ACCOGLIENZA, la storia delle teste tonde e delle teste a punta, che Brecht scrive poco prima della promulgazione delle leggi razziali in Germania, ci parla di UGUAGLIANZA, e l’ultima storia, L'eccezione e la regola, ambientata tra i pozzi di petrolio del deserto di Urga, ci interroga sulla GIUSTIZIA.

 

Infine, pensiamo che i sentieri marcati da Brecht siano ancora percorribili e necessari; percorribili perché ricreativi, leggeri, eccentrici; necessari perché crediamo che il teatro sia vivo, nonostante il sistema che lo amministra, e vogliamo credere che il teatro sia ancora, seppur antico, un esercizio di incontro e confronto attuale, e anche uno stimolo, oggi più di ieri, per uscire dai meccanismi di comodo della fruizione passiva propria dei video-media, per uscire dal telefono, dalle stanze, dalle case, dalle scuole, e chiedersi come stare, finalmente, insieme. 

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incisione di OTTO DIX. Dal secondo volume BERTOLT BRECHT teatro, Einaudi editore. 

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